Marina Abramovic’, protagonista di una performance atipica, sui generis, ma “forte”, tanto da far accapponare la pelle!
La pelle di chi?
Di chi avverte, già solo guardando la performance dell’artista, attraverso uno schermo, che la prima pelle ad accapponarsi è proprio quella di Marina Abramovic.
Eh si, perché, a volte, osservare, “sentire”, un’emozione altrui fa risuonare dentro quella stessa emozione. Risuona a modo proprio certo, con un’intensità proporzionale al proprio coinvolgimento.
Quell’emozione, diventa un po’ anche tua. E non è solo dettata dall’anima. È dettata dal grande capo: il cervello, dalla danza dei suoi soldatini: i neuroni, e risuona poi in tutto il corpo, con grandi o piccole vibrazioni.
Ma risuona, questo è certo.
Marina Abramovic
Artista controversa di origini jugoslave. Il suo lavoro, non a caso, esplora la relazione tra artista e pubblico, i limiti del corpo e le possibilità della mente.
Nel 2010, durante una performance a Moma, il suo cuore ha vibrato forte.
Il suo.
Il mio.
Quello di chi era lì ad osservarla dal vivo.
Quello di chi ha osservato quella performance, quel momento attraverso uno schermo.
Marina Abramovic sedeva in silenzio per un minuto consecutivo davanti a sconosciuti.
Lo ha fatto per 3 mesi consecutivi. Non una parola, non un gesto con il volto. Poi è arrivato Ulay, artista anche lui, che 30 anni prima visse con la Abramović una intensa e indimenticabile storia d’amore. Quel sentimento è emerso in un minuto infinito, carico di emozioni.
Il loro incontro, in questo video, è un uragano di sentimenti.
Un uragano che turba anche chi lo osserva da lontano.
Una sera quell’uragano ha turbato anche me. Quando, nel bel mezzo della mia splendida vacanza, mi sentivo assolutamente imperturbabile.
Ma…..all’empatia non si comanda!
En: dentro-pathos: sentimento
Empatia, tutti ne parlano, in pochi la riconoscono.
Si fonde perfettamente con il proprio essere, e si rischia di lasciarsi trascinare da essa al di là dei confini della propria persona.
Io ho imparato a riconoscerla, o meglio provo a farlo ogni giorno; per il mio bene, per il bene del mio essere una brava psicologa e migliorare sempre, per il bene dei miei pazienti.
Per evitare che il loro dolore, le loro paure, le loro gioie diventino le mie; affinchè io, piuttosto le possa riconoscere, comprendere e contenere, aiutando i miei pazienti e dando loro il tempo di elaborarle, “masticarle”, farle proprie come limiti superabili piuttosto che come ostacoli insormontabili.
L’empatia l’ho riconosciuta in me anche quella sera, osservando il video di Marina Abramovic.
Partecipando a quell’uragano di sentimenti, emozioni, di dolore misto a gioia, di malinconia, di amore finito ma infinito.
L’empatia è proprio la misteriosa facoltà che ci permette di partecipare alla gioia e al dolore altrui.
I neuroni allo specchio
L’esistenza dei neuroni specchio è stata rilevata per la prima volta verso la metà degli anni ’90 da Giacomo Rizzolatti e colleghi presso il dipartimento di neuroscienze dell’Università di Parma. Utilizzando come soggetti sperimentali dei macachi, questi ricercatori osservarono che alcuni gruppi di neuroni si attivavano non solo quando gli animali erano intenti a determinate azioni, ma anche quando guardavano qualcun altro compiere le stesse azioni.
Studi successivi, effettuati con tecniche non invasive, hanno dimostrato l’esistenza di sistemi simili anche negli uomini. Anche il riconoscimento delle emozioni sembra poggiare su un insieme di circuiti neurali che, per quanto differenti, condividono quella proprietà “specchio” già rilevata nel caso della comprensione delle azioni.
Sembra quindi che una varietà di differenti sistemi “mirror” siano presenti nel nostro cervello.
“Ogni relazione interpersonale significante implica, infatti, la condivisione di una molteplicità di stati: le emozioni, il nostro essere soggetti al dolore così come alle altre sensazioni somatiche” (Gallese, Carassa, Galderisi, Geminiani, 2002).
A questo punto risulta evidente la centralità che l’empatia riveste nella professione di psicologo, al quale viene chiesto di comprendere lo stato d’animo e la situazione emotiva di un’altra persona ancor prima di far ricorso alla comunicazione verbale.
L’empatia, come specifica Rogers è la comprensione della persona in un clima non giudicante, che si realizza immergendosi nella sua soggettività, senza però fondersi completamente con lui, in caso contrario si avrebbe una semplice identificazione che ne comprometterebbe la comprensione.
Io, psicologa alle prima armi, psicoterapeuta in formazione, ho fatto dell’empatia la mia “risorsa chiave”.
L’ho scoperto quando ho sentito dentro le emozioni dei miei pazienti, pur mantenendo sempre definiti i miei confini.
Quando il loro sguardo rispecchiandosi nel mio e il mio nel loro, ha dato il via ad uno scambio emozionale e alla nascita di quella che si può definire una buona alleanza terapeutica.
Bibliografia:
- Gallese V., Dai neuroni specchio alla consonanza intenzionale: meccanismi neurofisiologici dell’intersoggettività, Rivista di Psicoanalisi, 2007, LIII, 1, p. 197-208
- Gallese V., Mignone P., Eagle M.N., (2006). La simulazione incarnata: neuroni specchio,le basi neurofisiologiche dell’intersoggettività e alcune implicazioni per la psiconalisi
- Rogers C., La terapia centrata sul cliente, Martinelli, Firenze, 1970, p.121.