La voce della maternità: quello che non ti hanno detto

Per mesi ho desiderato scrivere questo articolo, ma il tempo è diventato un bene prezioso che merita di essere centellinato e speso nella maniera più efficace che ci sia!

“L’articolo può aspettare” e ha aspettato 9 mesi, fino ad oggi che ho aperto gli occhi e ho sentito di avere conquistato nuovamente pezzetti di me che sono stati di Luce per giorni e mesi e, forse in parte, resteranno suoi per anni, ma oggi sento che lei è pronta a condividerli con me. Il tempo, per esempio lo stiamo condividendo in questo instante, lei sta scoprendo che c’è un nuovo mondo: il sottodivano! Lo osserva, mi guarda con i suoi occhioni grandi e pieni di sorpresa e ripete pap bapà pabà in attesa che qualcuno da lì sotto le risponda!

Tutto per lei è una conquista meravigliosa e anche per me!

Oggi, la mia conquista è dare voce alla maternità, una voce che merita di prendere spazio in un mondo in cui spesso viene soffocata.

La maternità è tante cose, tra cui cedere ai figli parti di sé che vengono maneggiate, masticate, ingoiate fatte proprie digerite e, poi lentamente restituite. Un po’ a brandelli si, ma ne è valsa la pena, perché quei pezzettini ceduti verranno trasformati in sguardi sicuri, strette di mano, espressioni curiose e coraggiose, bisogni, emozioni, richieste, paroline, e diventeranno tanto altro.

Mentre noi madri ricostruiremo i nostri brandelli, i nostri figli a partire da quei brandelli creeranno cose meravigliose.

Winnicott diceva che le madri sono un po’ matte, io ho potuto constatare che è proprio così, basti pensare che cediamo il nostro centro a qualcun altrә che costruirà se stessә a partire da quel centro! Il succo è che noi madri viviamo mesi alla deriva completamente decentrate e un po’ a brandelli.

Quanto amore ci vuole per fare questo? Quanto amore ci vuole per cedere un centro che per anni hai fortificato, curato e protetto? Quanto amore ci vuole per cedere un corpo dopo mesi e anni di addominali e squat, creme snellenti e trattamenti anti cellulite? Quanto amore ci vuole per non dormire per mesi e continuare inesorabilmente ad amare? Quanta fiducia in se e nel mondo ci vuole per credere che passerà, che tornerai a brillare e ad esser di nuovo donna oltre che madre?! Ci vuole infinto, infinito amore che cresce in un cuore che all’improvviso sembra duplicarsi, triplicarsi, quadruplicarsi!

Quando guardavo le altre madri, la mia per esempio essere, così amorevoli e generose mi dicevo che per me non sarebbe mai stato possibile: sono generosa si, ma ho una certa quota di amor proprio che per anni ho costruito insieme ad uno spirito di autoconservazione notevole!

E invece all’improvviso ecco la metamorfosi: smettiamo di essere donne per trasformarci in madri e poi diventare nuovamente donne e restare pure madri e alla fine arrivano i superpoteri!!!

La riconquista di me donna, è un processo lento, di cui osservo ogni step: nei mesi ho ripreso a guardare con tenerezza e amore il mio corpo che sottovoce mi ha ricordato di aver bisogno di me, del mio sguardo e delle mie carezze. Ho ripreso ad andare al cinema con le mie sorelle amiche, ho ripreso a fare yoga e pure a meditare, e io e Angelo abbiamo scelto di dedicarci una cena romantica al mese! Angelo è il Mio Angelo, oggi il nostro Angelo, padre, compagno di gioco e infinito amore di Luce.

Ogni giorno mano nella mano cresciamo tutti e tre insieme e questo mi permette di riconquistare pezzetti di di me con sicurezza e fiducia!

Stiamo crescendo insieme, me ne accorgo quando nel suo sguardo vedo il nostro, quando contattiamo la sua energia e la nostra vibra all’unisono, e anche da questo nostro istante condiviso mi accorgo che stiamo crescendo insieme, mentre lei scopre il sottodivano io do voce alla maternità.

Sì perché oggi la mia maternità a distanza di mesi ha una forma, una coscienza e una voce.

Racconta di di essere arrivata a gamba tesa per essere accolta dal nostro amore infinito, già una volta promotore di rinascita, la mia rinascita.

Racconta di averlo messo a dura prova questo amore, perché la maternità non è solo nascita è anche confusione, stanchezza, paura, sonno, gonfiore, perdita di confini, nuova forma, pienezza, vuoto e solitudine, tutto mischiato ad infinito amore. In questa miscela di emozioni contrastanti e sentimenti fagocitanti io ho sentito spesso i miei rami piegarsi, talvolta rompersi eppure le radici non mi hanno abbandonata, quelle le ho ritrovate lì ancorate a madre terra. Nel buio delle notti insonni ho ringraziato i miei fari nel buio, gli anni di lavoro su me stessa e ho ringraziato l’amore, linfa vitale.

L’amore, lo mangerei a colazione per quanto mi piace, in tutte le sue forme, verso me stessa, verso il mondo, verso il cielo, verso il mare e verso le persone tutte.

La maternità è intrisa d’amore in ogni sua forma, e genera vortici di emozioni, pensieri, parole e lacrime. E regala verità e pace: io da quando sono madre non ho più tempo né energia per inseguire progetti che non sposo, per discutere di cose che non sono importanti né per chiedermi se quel che faccio è giusto. In un abbraccio c’è più calma che in qualsiasi altra scelta giusta, è nell’abbraccio che si scioglie il dolore, la confusione, la paura.

Cosi ho fatto finalmente la pace con la mia imperfezione, si sono imperfetta, perché nel 99% dei casi non so cosa fare e spero che quello che scelgo di fare funzioni, e se non funziona allora domani aggiusto il tiro e so che andrà meglio. Da quando ha abbandonato la perfezione, e ho cullato per ore, e ho partorito una creatura meravigliosa, ho allattato notte e giorno per mesi e ho scoperto che ogni mia cellula sa cos’è la CURA, allora ho avuto la conferma che posso farcela e realizzare ciò che desidero!

Anche voi donne tutte, perché al di là di essere o meno mamme, ognuno di noi ha questa enorme quantità di energia, cura, forza e potere nel cuore! Io ce lo avevo anche prima, non la vedevo nitidamente come oggi eppure so bene che è sempre stata lì, nel mio centro!

Per mesi ho desiderato scrivere questo articolo ed eccolo qua! Nasce dal desiderio di condividere con voi che possiamo essere imperfette, piangere di stanchezza e solitudine, chiedere aiuto, sentire la nostalgia per quell’antico corpo banale eppure improvvisamente meraviglioso, per la spensieratezza di notti lunghe giorni interi.

Che nel tempo possiamo riprenderci pezzetti di noi e ricominciare ad esser donne oltre che madri.

E che è tremendamente faticoso, lamentarsi è legittimo!

Che ogni emozione e ogni pensiero è legittimo, anche i più bui. Hanno il diritto di esistere e l’amore per i nostri figli  non risente affatto della loro presenza, piuttosto cresce e si alimenta di autenticità e lealtà.

Tutto l’amore che abbiamo e doniamo è ciò che basta!

E ricordate di chiedere aiuto a professionisti e non solo, celebrate e lodate l’imperfezione e concedetevi la possibilità di affidarvi a chi può esservi di supporto.

Se avete domande o condivisioni, io sono qui, non vedo l’ora di ascoltarvi!

 

Presentazione del libro “Psiconeurochimica”

Psiconeurochimica è un saggio che nasce dal desiderio di testimoniare l’integrazione di due scienze apparentemente distanti eppure profondamente correlate: la psicoterapia e la chimica.
All’interno della cornice di riferimento dell’attaccamento gli autori mostrano come la chimica cerebrale, le emozioni e il processo psicoterapeutico hanno un comun denominatore: il potere evolutivo e correttivo delle relazioni che, quando sane e funzionali, promuovono lo sviluppo neurale, sociale, cognitivo ed affettivo.
La ricerca negli anni ha infatti confermato che il legame di attaccamento viene considerato la strategia di sopravvivenza essenziale più intrinseca per gli esseri umani: una connessione fisica ed emotiva prevedibile con una figura di riferimento (amico, partner, guida spirituale, psicoterapeuta) calma il sistema nervoso e lascia che la mente generi la rappresentazione di “rifugio sicuro”, dove si raggiunge una regolazione emotiva (S.Johnson, 2019). A rendere possibile il legame e lo scambio tra i neuroni sono i neurotrasmettitori, messaggeri chimici endogeni; per noi umani ci sono invece le relazioni. La relazione genitore- bambino, la relazione tra i partners, e quella tra paziente e terapeuta sono esempi di relazioni significative che, se sane e funzionali rappresentano i catalizzatori di evoluzione e crescita neurale, emotiva, cognitiva. Nello specifico il percorso psicoterapeutico e l’interazione autentica, non giudicante ed empatica tra terapeuta e paziente, rappresentano un’esperienza relazionale emotiva correttiva che stimola la crescita neuronale del paziente e ne promuove lo sviluppo sociale ed emotivo. I processi di sintonizzazione affettiva che si instaurano tra i paziente e il terapeuta favoriscono lo sviluppo di capacità di co-regolazione emotiva e il movimento verso integrazione, consapevolezza e benessere.

Il libro è stato presentato al pubblico il 3 aprile 2023.
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Crisi di coppia: Guarire” le relazioni con le emozioni

Ci si dimentica di rivolgere lo sguardo, il tempo e l’attenzione a quello che una relazione sentimentale, per sua natura, implica e richiede: amore, vicinanza, cura e presenza verso se stessi e verso l’altro.

Eppure i problemi di coppia sono spesso dovuti alla paura di perdere se stesso e l’altro all’interno della relazione: la disconnessione emotiva e l’assenza di comunicazione profonda rispetto al proprio sentire, ai propri bisogni primordiali di “attaccamento”, incrementano il senso di pericolo e l’isolamento.

Si generano, perciò, interazioni e comportamenti negativi che, a loro volta alimentano l’attaccamento insicuro. Ed è proprio l’attaccamento insicuro la principale causa della disconnessione emotiva, così il ciclo ricomincia, si alimenta, si irrigidisce e i partners finiscono per comunicare solo attraverso litigi, offese o segni di allontanamento.

Ma cosa si intende per attaccamento?

L’attaccamento, insieme con le emozioni a esse associate, è la caratteristica peculiare di base delle relazioni intime. Bowlby, ideatore della teoria dell’attaccamento, ha sempre sostenuto che l’attaccamento fosse una relazione lunga tutta la vita; tutta la vita infatti, è presente un profondo desiderio di attenzione, di responsività emotiva e di interesse da parte della figura di riferimento, della persona significativa.

Infatti, la presenza della figura di attaccamento, che  spesso coincide con genitori, figli, coniugi e persone amate, offre conforto e sicurezza, mentre l’inaccessibilità percepita di tali figure, crea disagio.

Quindi, il legame di coppia, in quanto legame di attaccamento implica:

  • Il bisogno di essere e sentirsi amati
  • Il bisogno di fiducia da riporre nel partner con la certezza che nei momenti del bisogno sarà al nostro fianco
  • Avere e ricevere: Accettazione, Comprensione Empatia, Riconoscimento, Validazione, Protezione e una base sicura.

Quando in una relazione si può parlare di base  sicura? 

Il concetto di base sicura, rielaborato da Bowlby sul finire degli anni ’60, si riferisce ad un ambiente che permette di sentirsi pienamente protetto ed accettato; introdotto nell’ambito della relazione madre- bambino e esteso nell’ambito delle relazioni amorose, questo concetto, permette di sentirsi sostenuto, di rimanere solo con se stesso e di esplorare il mondo circostante senza timore. Come abbiamo visto, infatti, l’amore romantico tra adulti è un legame di attaccamento: la necessità di stabilire una connessione emotiva prevedibile, sicura, è un bisogno innato e  primario dell’essere umano o perciò non ha età.

La presenza di una base sicura incoraggia l’esplorazione , promuove la fiducia per rischiare , apprendere, e aggiornare continuamente i modelli di sé, degli altri e del mondo. L’attaccamento sicuro, rafforza l’abilità di prendere le distanze e riflettere su se stessi, sul proprio comportamento e sui propri stati mentali (Fonagy e Target, 1997).

Quando un rapporto di coppia offre un senso di sicurezza, una base sicura, allora si è in grado di affrontare stress e difficoltà in maniera positiva e le relazioni tendono, perciò, ad essere più felici, più stabili, e più soddisfacenti.

La vicinanza a una persona amata inoltre, tranquillizza il sistema nervoso, è un antidoto alle ansie della vita. I pazienti ansiosi e depressi, infatti, traggono estremo beneficio dall’esperienza di connessione supportiva che una relazione più amorevole è capace di offrire.

Ne segue che non esiste né una completa indipendenza né una completa iper-dipendenza dagli altri (Bretherton e Munholland, 1999), esistono solo dipendenze efficaci e dipendenza inefficaci, la prima favorisce autonomia e fiducia in se stessi. 

Infatti, in base agli studi effettuati, è proprio quando sappiamo di potere contare su qualcuno che ci esponiamo di più a rischi e cambiamenti buoni per noi.

Cresce quella che viene chiamata ansia da separazione, che genera angoscia.

A questo punto vengono messe in atto delle strategie per placare l’angoscia, strategie disfunzionali che finiscono per aumentare la distanza tra i partner:

  • Alzare la posta con atteggiamenti ansiosi “Ti costringerò a rispondermi
  • Calmare i bollenti spiriti con atteggiamenti distanzianti: “Non mi interessa affatto!
  • Esprimere ansia ed evitamento in contemporanea: “Non ti avvicini mai a me! Allontanati!

Si innescano, dunque, dei processi automatici difensivi che portano a quella che può essere definita un’escalation di offese, litigi, atteggiamenti distanzianti.

Ed è nuovamente la teoria dell’attaccamento che ci aiuta a capire il peso che sta dietro a ferite emozionali quali rifiuto, abbandono percepiti da parte di una persona cara.

Infatti, quando una figura di attaccamento  mostra un atteggiamento distanziante  o di rifiuto, sia bambini, sia adulti, diventano ansiosi, preoccupati e incapaci di concentrarsi ed esplorare l’ambiente  circostante.

E allora come guarire la relazione di coppia?

Portando il focus dell’attenzione dei partner sull’emozioni proprie e reciproche come la terapia focalizzata sulle emozioni ci insegna (Greenberg e Jonson, 1985). Innanzitutto da quanto sopra esposto, emerge che guarire una relazione permette di guarire anche il singolo individuo, la Terapia Focalizzata sulle Emozioni (EFT), sottolinea, infatti, proprio il potere della coppia come fonte di benessere relazionale e individuale. Supportato da diversi studi,  tale approccio evidenzia il potere curativo del legame di attaccamento tra adulti, come calmante del sistema nervoso. La terapia focalizzata sulle emozioni, quindi, non solo aiuta a “guarire” la relazione d’amore, ma crea relazioni che guariscono.

Guarire le relazioni con le emozioni implica  ri-creare una connessione emotiva tra i partners della coppia,  l’espressione emotiva e la responsività emotiva  sono, infatti, i mattoni fondamentali di un attaccamento sicuro. Essi permettono di abbassare il livello di ansia di abbandono e di esprimere bisogno di vicinanza e di accessibilità del partner. Rivelare le emozioni chiave e usarle per innescare nuove reazioni nel partner, è il cuore del cambiamento nella terapia focalizzata sulle emozioni.

Per fare questo è necessario sostituire le conversazioni e gli atteggiamenti  reattivi con conversazioni e atteggiamenti più profondi, che consentono di esprimere la vulnerabilità (Johnson, 1996).

Come affrontare l’ansia?

Innanzitutto non è detto che sia sempre negativa, è piuttosto una reazione normale e fisiologica dell’individuo quando è sottoposto a stress.

Essa ci aiuta a superare ostacoli e situazioni difficili spronandoci a mantenere alta la concentrazione e l’attenzione.

Ansia e Paura sono fondamentali per la nostra sopravvivenza, agiscono in modo automatico, proteggendo il soggetto, mettendolo in guardia da pericoli e predisponendolo a scappare o a combattere. In condizioni di pericolo e di difficoltà il nostro corpo si prepara a proteggersi producendo e rilasciando ormoni.

Per questo motivo nelle giuste circostanze una reazione di paura può salvarci la vita.

Allo stesso modo, l’ansia ci aiuta ad individuare minacce future e a premunirci contro di esse, progettando ipotetici scenari nei quali potremmo essere coinvolti e, in quel caso, dovremmo affrontare la situazione temuta. Come infatti ci insegna la legge di Yerkes e Dodson (1908), un giusto grado di ansia ci permette di essere più performanti rispetto a quando siamo tranquilli.

Quando l’ansia da adattativa diventa patologica?

Quando, almeno apparentemente, non è individuabile un vero e proprio oggetto ( persone, cose o situazioni) che innesca nel soggetto la risposta ansiosa.

Il battito cardiaco aumenta, aumenta la concentrazione per affrontare la minaccia e si mette in atto l’attacco o la fuga, eppure non è presente un pericolo reale!

Nel dettaglio, la sintomatologia ansiosa, che si manifesta con maggiore gravità nel Disturbo di Panico, comprende: palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia, aumento della sudorazione, tremori fini o a grandi scosse, dispnea o sensazione di soffocamento, sensazione di asfissia, dolore o fastidio al petto, nausea o disturbi addominali, sensazioni di vertigine, di instabilità, di “testa leggera” o di svenimento, brividi o vampate di calore, parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio), derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi), paura di perdere il controllo o “impazzire” e paura di morire.

Come affrontare l’ansia: i suggerimenti di una psicologa

Il trattamento dell’ansia nell’ambito delle psicoterapie cognitivo-comportamentali comporta l’eliminazione o la riduzione del sintomo, e successivamente il raggiungimento di un adeguato adattamento dell’individuo all’ambiente.

Il trattamento per la cura dell’ansia prevede un lavoro di ricerca e valutazione delle aspettative e degli schemi cognitivi abituali e di una conseguente ricerca di schemi alternativi e più funzionali (Bracconnier, 2003).

Un approccio integrato, porta il paziente a ricercare le reali cause che stanno alla base delle  sue manifestazioni ansiose.

Cause sommerse, non facili da rintracciare senza il supporto di un professionista il cui compito è quello di accompagnare il paziente verso un percorso volto alla scoperta di come affrontare l’ansia, alla conoscenza di se stesso, e di aiutarlo a a migliorare la capacità di tollerare, affrontare e accettare l’inevitabile incertezza della quotidianità (Dugas & Robichaud, 2007).

Come uscire da una dipendenza?

Innanzitutto la dipendenza non è detto sia sempre patologica. Di per se’ un processo naturale, caratterizza una fase del ciclo di vita durante la quale garantisce la sopravvivenza.

Se prolungata oltre il suo tempo naturale genera malessere, in tal caso si parla di dipendenza patologica. Prima di vedere come uscire da una dipendenza, vediamo cos’è una dipendenza.

Cos’è una dipendenza patologica?

“E’ una forma morbosa caratterizzata dall’uso distorto di una sostanza, di un oggetto o di un comportamento, caratterizzato da uno stato mentale di incoercibilità e dal bisogno coatto di essere reiterato con modalità compulsive.” (Caretti, La Barbera, 2005)

Ciò che caratterizza una dipendenza patologica è perciò:

  • il malessere
  • l’abuso dell’oggetto della dipendenza
  • il pensiero ossessivo e attrattivo verso tale oggetto
  • la compulsione a ricercare e consumare l’oggetto della dipendenza nonostante questo sia pericoloso.

Alla base di questi processi c’è uno specifico meccanismo: la ricerca del piacere!

L’impossibilità di provare piacere, avvertita dai pazienti dipendenti, è tale da spingerli verso una costante ricerca dell’oggetto della dipendenza che sembra essere la loro unica fonte di piacere, l’unico sollievo da un dolore che vivono come infinito e incontenibile.

Perchè l’oggetto della dipendenza crea piacere?

La risposta a questa domanda è nell’attivazione di un meccanismo neurocognitivo: il Brain’s reward system, che è un sistema di rinforzo del piacere presente nel nostro cervello e che unisce il Nucleo Accumbens, l’Amigdala, e l’Ippocampo.Tutte aree che si attivano nella prima fase della dipendenza e che sono le responsabili della ricerca costante dell’oggetto della dipendenza. Ciò che si verifica in questa specifica area, in seguito all’assunzione della sostanza o l’attuazione del comportamento da cui si dipende, è una maggiore rilascio di dopamina e di serotonina, neurotrasmettitori motivazionali e legati alla sensazione di piacere. Quest’area risulta essere molto attivata nei pazienti dipendenti.

A ciò si aggiunge il meccanismo cognitivo del Craving, lo stato di ansia e di bisogno compulsivo che si generano quando non si è in possesso dell’oggetto della dipendenza, seguite da un pensiero ossessivo e una compulsione a ricercare l’oggetto.

Perchè parlare di oggetto della dipendenza e non di sostanza?

Oltre alle dipendenze da sostanze quali: sostanze stupefacenti, alcol, doping/integratori, sigarette, farmaci, caffè.

È importante prendere in considerazioni altre forme di dipendenza che non hanno per oggetto una sostanza:

Dipendenze comportamentali: gioco d’azzardo, dipendenza da shopping, dipendenze da sport (come obligate runner, fitness, gymaholic), dipendenza da lavoro (workaholic), dipendenze da internet (Gaming disorder, Cyber-Relationship, Social Network, Cybersex), dipendenza da sesso, disturbi alimentari (Anoressia, Bulimia, Binge Eating, Ortoressia nervosa), Dipendenza affettiva: (Love Addiction) e altre ancora.

Ognuna di queste forme di dipendenza è accomunata dai fattori sopra descritti: i fattori comuni.

Cosa può essere utile ad un paziente con una dipendenza?

Innanzitutto la comprensione empatica accompagnata da una buona conoscenza delle dinamiche che sottendono lo sviluppo delle dipendenze Questo permette di provare un’autentico rispetto verso il vissuto altrui e di sostenere l’altro senza svalutazioni né alcuna forma di giudizio.

Mai dimenticare il legame tra la dipendenza e il piacere, è perciò utile offrire delle modalità alternative che permettano di scoprire e provare altre fonti di piacere.

Dipendenza, come uscirne? La risposta è nel tenere a mente che l’evoluzione della dipendenza, nel ciclo di sviluppo individuale è l’interdipendenza: dipendere l’uno dall’altro in maniera sana. Questa prevede la nascita, la cura e la fortificazione di una noità (IO-NOI-TU), uno spazio in cui passare dall’autonomia alla dipendenza in modo funzionale. Il setting terapeutico è uno spazio protetto, all’interno del quale creare e coltivare l’intersoggettività attraverso un lavoro cliente-terapeuta condiviso, basato su una continua risintonizzazione reciproca e su un percorso di crescita ed evoluzione che si fonda su:

Alleanza, Accettazione reciproca, Potenziamento dell’autostima, Socializzazione protetta non giudicante, Autorealizzazione e Libertà di essere e di agire.

All’empatia non si comanda!

Marina Abramovic’, protagonista di una performance atipica, sui generis, ma “forte”, tanto da far accapponare la pelle!

La pelle di chi?

Di chi avverte, già solo guardando la performance dell’artista, attraverso uno schermo, che la prima pelle ad accapponarsi è proprio quella di Marina Abramovic.
Eh si, perché, a volte, osservare, “sentire”, un’emozione altrui fa risuonare dentro quella stessa emozione. Risuona a modo proprio certo, con un’intensità proporzionale al proprio coinvolgimento.

Quell’emozione, diventa un po’ anche tua. E non è solo dettata dall’anima. È dettata dal grande capo: il cervello, dalla danza dei suoi soldatini: i neuroni, e risuona poi in tutto il corpo, con grandi o piccole vibrazioni.

Ma risuona, questo è certo.

Marina Abramovic

Artista controversa di origini jugoslave. Il suo lavoro, non a caso, esplora la relazione tra artista e pubblico, i limiti del corpo e le possibilità della mente.
Nel 2010, durante una performance a Moma, il suo cuore ha vibrato forte.
Il suo.
Il mio.
Quello di chi era lì ad osservarla dal vivo.
Quello di chi ha osservato quella performance, quel momento attraverso uno schermo.

Marina Abramovic sedeva in silenzio per un minuto consecutivo davanti a sconosciuti.

Lo ha fatto per 3 mesi consecutivi. Non una parola, non un gesto con il volto. Poi è arrivato Ulay, artista anche lui, che 30 anni prima visse con la Abramović una intensa e indimenticabile storia d’amore. Quel sentimento è emerso in un minuto infinito, carico di emozioni.

Il loro incontro, in questo video, è un uragano di sentimenti.
Un uragano che turba anche chi lo osserva da lontano.

Una sera quell’uragano ha turbato anche me. Quando, nel bel mezzo della mia splendida vacanza, mi sentivo assolutamente imperturbabile.
Ma…..all’empatia non si comanda!

En: dentro-pathos: sentimento

Empatia, tutti ne parlano, in pochi la riconoscono.

Si fonde perfettamente con il proprio essere, e si rischia di lasciarsi trascinare da essa al di là dei confini della propria persona.
Io ho imparato a riconoscerla, o meglio provo a farlo ogni giorno; per il mio bene, per il bene del mio essere una brava psicologa e migliorare sempre, per il bene dei miei pazienti.

empatia

Per evitare che il loro dolore, le loro paure, le loro gioie diventino le mie; affinchè io, piuttosto le possa riconoscere, comprendere e contenere, aiutando i miei pazienti e dando loro il tempo di elaborarle, “masticarle”, farle proprie come limiti superabili piuttosto che come ostacoli insormontabili.

L’empatia l’ho riconosciuta in me anche quella sera, osservando il video di Marina Abramovic.

Partecipando a quell’uragano di sentimenti, emozioni, di dolore misto a gioia, di malinconia, di amore finito ma infinito.

L’empatia è proprio la misteriosa facoltà che ci permette di partecipare alla gioia e al dolore altrui.

I neuroni allo specchio

L’esistenza dei neuroni specchio è stata rilevata per la prima volta verso la metà degli anni ’90 da Giacomo Rizzolatti e colleghi presso il dipartimento di neuroscienze dell’Università di Parma. Utilizzando come soggetti sperimentali dei macachi, questi ricercatori osservarono che alcuni gruppi di neuroni si attivavano non solo quando gli animali erano intenti a determinate azioni, ma anche quando guardavano qualcun altro compiere le stesse azioni.
Studi successivi, effettuati con tecniche non invasive, hanno dimostrato l’esistenza di sistemi simili anche negli uomini. Anche il riconoscimento delle emozioni sembra poggiare su un insieme di circuiti neurali che, per quanto differenti, condividono quella proprietà “specchio” già rilevata nel caso della comprensione delle azioni.
Sembra quindi che una varietà di differenti sistemi “mirror” siano presenti nel nostro cervello.

“Ogni relazione interpersonale significante implica, infatti, la condivisione di una molteplicità di stati: le emozioni, il nostro essere soggetti al dolore così come alle altre sensazioni somatiche” (Gallese, Carassa, Galderisi, Geminiani, 2002).

empatia_3A questo punto risulta evidente la centralità che l’empatia riveste nella professione di psicologo, al quale viene chiesto di comprendere lo stato d’animo e la situazione emotiva di un’altra persona ancor prima di far ricorso alla comunicazione verbale.
L’empatia, come specifica Rogers è la comprensione della persona in un clima non giudicante, che si realizza immergendosi nella sua soggettività, senza però fondersi completamente con lui, in caso contrario si avrebbe una semplice identificazione che ne comprometterebbe la comprensione.
Io, psicologa alle prima armi, psicoterapeuta in formazione, ho fatto dell’empatia la mia “risorsa chiave”.
L’ho scoperto quando ho sentito dentro le emozioni dei miei pazienti, pur mantenendo sempre definiti i miei confini.
Quando il loro sguardo rispecchiandosi nel mio e il mio nel loro, ha dato il via ad uno scambio emozionale e alla nascita di quella che si può definire una buona alleanza terapeutica.

Bibliografia:

  • Gallese V., Dai neuroni specchio alla consonanza intenzionale: meccanismi neurofisiologici dell’intersoggettività, Rivista di Psicoanalisi, 2007, LIII, 1, p. 197-208
  • Gallese V., Mignone P., Eagle M.N., (2006). La simulazione incarnata: neuroni specchio,le basi neurofisiologiche dell’intersoggettività e alcune implicazioni per la psiconalisi
  • Rogers C., La terapia centrata sul cliente, Martinelli, Firenze, 1970, p.121.

Il cambiamento: piacevole brezza o fastidiosa tramontana?

È questa l’espressione utilizzata dal sociologo polacco Zygmunt Bauman per indicare la labilità di qualsiasi costruzione dell’epoca attuale.

Sapete cosa significa società liquida?

Società liquida.

Che ogni aspetto della vita può essere rimodellato e ripensato poiché nulla possiede dei contorni definiti, netti. Tutto questo influenza anche le relazioni umane rendendole, inevitabilmente, precarie; liquido è anche il mondo politico, senza più la presenza, né tanto meno la ricerca, di un modello forte, ‘solido’, di riferimento.

Noi, parte integrante della società liquida dobbiamo essere bravi a diventare liquidi quando è necessario, dobbiamo prendere, come ogni liquido che si rispetti, la forma del recipiente. Dobbiamo imparare ad adattarci, ad affrontare nel migliore dei modi i cambiamenti, , tutti quelli che una società liquida ci impone.

I cambiamenti!
I cambiamenti spaventano!
I cambiamenti inibiscono!
I cambiamenti sono fonte di ansia!

In quanto psicologa ho un importante compito nei confronti dei miei pazienti: accompagnare loro nel percorso, a volte ostico, che porta al cambiamento. Qualsiasi esso sia.

Il cambiamento verso la scoperta di quello che Winnicott chiama il verso Sé, il Sé autentico.
Il cambiamento verso quello che Maslow chiama amore autorealizzato.
Il cambiamento verso il raggiungimento dell’autorealizzazione (Maslow) attuando le proprie migliori potenzialità.
Il cambiamento verso l’autoregolazione delle emozioni. Le emozioni, che come Goleman scrive, ci guidano nell’affrontare situazioni e compiti troppo difficili e importanti perché possano essere affidati al solo intelletto.
A tal proposito vi invito a pensare cosa accade alle emozioni nel film della Pixar: Inside Out, del quale proprio le emozioni sono le protagoniste assolute.

Nel film, si assiste ad un allontanamento di alcune emozioni nel periodo dell’adolescenza…è proprio ciò che accade nella realtà. Sembra che in questo periodo, ad esempio, diminuisca la capacità di provare empatia e aumenti l’incertezza.

Poi le emozioni tornano.

Si assiste ad un cambiamento.

Il primo grande cambiamento della nostra vita, quello che ci vede entrare nel mondo dei giovani adulti. La tristezza assume un nuovo ruolo, non è più solo passività, inattività bensì ci aiuta a fare chiarezza rispetto ad alcuni eventi dolorosi della nostra vita, ad elaborare il dolore della perdita, a riconoscere ed elaborare fallimenti, lutti, allontanamenti, cambiamenti piuttosto che scappare dinanzi ad essi.
Ed ecco il capo-cambiamento, quello che fa più paura di tutti, l’arrivo di un nuovo Sé, un Sé adulto, i cui valori, i cui interessi, le cui amicizie all’improvviso “spingono” perché necessitano di un nuovo assetto.

Questa spinta, talvolta, viene vissuta con grande confusione: si vive il capo-cambiamento, ma non sempre si è in grado di riconoscere e utilizzare al meglio le proprie risorse per far fronte ad esso.

Questo è quello che accade nell’adolescenza e in tante altre fasi della vita.
Si sente una spinta verso il cambiamento, il più delle volte dovuta al fatto che le condizioni attuali sono piuttosto distanti dalle proprie aspettative, non ci si sente sereni, non in equilibrio, si è distanti da quello stato di benessere e di autorealizzazione a cui tutti aspiriamo.
A proposito delle persone autorealizzate Maslow scrive:
Essi sono in grado di accettare la loro natura umana secondo lo stile storico, con tutti i difetti che tale natura presenta, con tutte le differenze dall’immagine ideale che potrebbero avere presente, senza preoccuparsene molto. Potrei essere frainteso, se dicessi che sono soddisfatti di se stessi. Piuttosto dobbiamo dire che possono assumere le debolezze e i difetti della natura umana con lo stesso spirito con cui si accettano le caratteristiche della natura. Non ci si lamenta dell’acqua perchè è bagnata o delle rocce perché sono dure e degli alberi che sono verdi. Come il fanciullo guarda il mondo senza critiche, senza fare obbiezioni, con occhi innocenti, semplicemente notando ed osservando come stanno le cose, senza discutere e senza chiedere che siano diverse, così la persona che si autorealizza è incline a guardare in sé e negli altri la natura umana.”

Il cambiamento verso il miglioramento di sé, verso un maggiore benessere, verso l’autorealizzazione: è questo che io, in quanto psicologa promuovo.

È lungo il percorso verso il cambiamento che io, come psicologa, accompagno i miei pazienti.

Uscire dalla staticità, allontanarsi da ciò che ormai annoia, da ciò che non emoziona più ma a cui si è abituati;

prendere le distanze da ciò che fa male ma, di cui, si teme di non poter fare a meno:

questo può essere possibile e meno complesso con il sostegno di chi saprà riconoscere in ognuno le risorse necessarie a far  fronte al cambiamento.

“La continuità ci dà le radici; il cambiamento ci regala i rami, lasciando a noi la volontà di estenderli e di farli crescere fino a raggiungere nuove altezze.” (Pauline R. Kezer )

Bibliografia:

  • Z. Bauman, (2008). Vita Liquida.
  • A. Maslow, (1962) .Verso una psicologia dell’essere.

L’Amore fa bene?

L’amore può farti sentire una persona migliore, ti fa vivere una vita migliore, ti fa dormire sonni migliori, ti dona un’energia inspiegabile che può essere donata solo da un contatto di corpi, di menti, di vite!

L’amore fa bene un sacco.

Te ne accorgi quando l’amore diventa il primo pensiero felice della giornata.

Fa bene e te ne accorgi quando ti chiedono: da grande che fai? Da grande? Io sono grande…ma non lo so cosa farò, certo è che vedo come immagine nitida del mio futuro, il mio amore che fa bene!

E allora io oggi con voi “brindo” all’amore che fa bene.

Fa bene quando ti senti sprofondare e l’amore che fa bene non è il motivo del tuo sprofondare, ma ti prende, ogni volta e ti riporta a galla, poi lì ti lascia e ti dice “ora fai da sola perché io mi fido di te”.
Perché l’amore che fa bene ha fiducia in te e tu in lui.
L’amore che fa bene non è per sempre ma è finché dura, ma se fa tanto bene allora durerà tanto.
L’amore che fa bene ti insegna a ridere dei tuoi difetti, quelli più intimi di cui, nel profondo, ti vergognavi un po’.
L’amore che fa bene non ha paura delle tue lacrime, dei tuoi dolori, delle tue ferite, dei tuoi guai, non ti corregge, non interviene per risanare.

L amore che fa bene c’è, sempre, e il solo sapere che c’è allevia, ogni giorno, un po’ dei tuoi dolori.

Non ha età, l’Amore, né razza, né colore, né disabilità. Questo video ce lo mostra….ci mostra questo insieme a tanti sorrisi.

Maslow scrive dell’amore:

“…consiste in primo luogo in un sentimento di tenerezza e di affetto unito a grande godimento, felicità, soddisfazione, ed anche estasi, come un sentimento che tutto vada bene. C’è la tendenza a voler stare più vicino, ad entrare in un contatto più intimo, a toccare e ad abbracciare la persona amata, a non vedere l’ora di stare con essa”

L’amore fa bene e sorride.

Lo dico a chi si trova invischiato in relazioni dolorose, in relazioni in cui domina la co-dipendenza, in relazioni in cui c’è un offender e una vittima.

Le coppie si strutturano in questo modo, in esse regna la complementarietà, ciò significa che c’è sempre chi sta male e chi fa male, e chi fa male sta male allo stesso modo di chi sta male!

Consideriamo lo stalking.

Cos’è lo stalking?

Lo stalking è un fenomeno che si evidenzia nella fase del corteggiamento o in quella della separazione, in entrambi i casi coinvolge i partners di una coppia; è stato dimostrato che più forte è la relazione tra i membri di una coppia più è alto il rischio che si possa verificare il fenomeno dello stalking.

Tra la vittima e lo stalker c’è un invischiamento interpersonale:

Sia lo stalker che l’offender soffrono della stessa problematica: l’ansia di separazione, manifestatasi in modi diversi e complementari. Per cui i due partner si incontrano e si incastrano a livello personologico, quando poi la relazione finisce e subentra la violenza, conseguenza, come abbiamo visto, di un attaccamento insicuro iniziato in età infantile, allora lo stalker assumerà il ruolo di persecutore, la vittima il ruolo di perseguitata. (Caretti, 2015).

E’ questo che accade quando l’amore fa male, ci si incastra: le proprie patologie, quelle più nascoste, quelle che a volte non si vedono, si palesano all’improvviso nella relazione con l’altro, con il proprio partner. Si cerca un partner quanto più complementare ai propri bisogni, alle proprie identità, alla propria personalità, ma, a volte, tale identità, tale personalità non è totalmente sana. Si finisce così per intraprendere relazioni caratterizzate da dinamiche dolorose e angosciose.

Al riguardo Rogers scrive:

“La parola “amato” ha forse qui il significato più profondo e più generale, quello di essere profondamente capito ed accettato….Noi possiamo amare una persona solo nei limiti in cui non ne siamo minacciati; possiamo amare solo se le sue reazioni verso di noi o verso quelle cose che ci toccano, ci sono comprensibili…Così, se un individuo è ostile verso di me ed io non posso vedere in lui in un certo momento salvo ostilità, sono certo che reagirò in modo difensivo a tale ostilità.”

L’amore bello è amore sano.

Come sostiene Maslow “l’amore sano si autorealizza”, affermando in linea generale che l’amore sano è in parte un’assenza di difesa, cioè è un accrescimento di spontaneità e di lealtà.

“Caratteristica dell’amore è l’assenza di ansie. Questa assenza sembra essere chiaramente presente nelle persone sane. Non ci sono dubbi che nell’amore c’è la tendenza ad una spontaneità sempre maggiore, ad abbandonare le difese, a non assumere atteggiamenti legati alla propria professione ed a cercare di intensificare la relazione d’amore.” (Maslow,58)

Possiamo affermare, dunque, che il raggiungimento del benessere e dell’autorealizzazione è alla base di una sana relazione amorosa, compito di noi psicologi e accompagnare I nostri pazienti nel raggiungimento di tali obiettivi attraverso il riconoscimento e l’utilizzo delle proprie risorse.

Noi psicologi dobbiamo capire l’amore, essere capaci di insegnarlo, di crearlo, di curarlo.

Vuoi parlarmi della tua relazione attualmente lontana dall’amore che fa bene?
Contattami.

Bibliografia:

  • V. Caretti, G. Craparo, G.S.Manzi, (2015). Stalker. Psicopatologia del molestatore assillante.
  • A. Maslow, (1958). Motivazione e personalità.
  • R.C.Rogers,  (1974) Partners. Il matrimonio e le sue alternative.